Freyja e Frigg – Dualismo Vanidis

Dall’università di Reykjavík, Ásdísardóttir ci fornisce un’attenta analisi sulla percezione dell’uomo moderno nei confronti delle poliedriche figure divine di Freyja e Frigg.
Negli ultimi decenni, infatti, la ricerca archeologica si è focalizzata, con rinnovato interesse, sulla figura femminile nei pantheon mitologici.
In particolare, ricordiamo i lavori pionieristici della Gimbutas circa il culto della Dea Madre nella prima Età della Pietra, che hanno molto alimentato l’entusiasmo nello studio delle deità femminili mitologiche.

Appare, tuttavia, chiaro che, spesso, queste dee vengano considerate e percepite come se fossero diverse sfaccettature della stessa Dea Madre, e non elementi indipendenti, con una propria identità individuale e proprie caratteristiche.
Questo tipo di approccio è percepibile anche negli studi a riguardo della tradizione Nord Europea, in particolar modo, quando si tratta di Frigg e Freyja.
Perfino attente studiose quali Näsström e Davidson, nel trattare di Freyja, le attribuiscono qualità e simbologie talmente sconfinate, da poter effettivamente raggruppare in esse qualsiasi genere di divinità femminile: essere donna, madre, figlia, essere luna ma anche sole, essere raccolto, fecondità, vita e morte.

Complice, probabilmente, anche la consolidata concezione monoteistica dell’uomo moderno, diventa un po’ una sfida riuscire a mantenere una certa distinzione nell’approcciarsi a tali figure.
L’ipotesi di una sola grande Dea Madre è dunque comprensibile ma, secondo Ásdísardóttir, va rifiutata con decisione, in quanto iper-semplificazione e generalizzazione di una variopinta eredità culturale.
Certamente, ci sono somiglianze non indifferenti tra Freyja e Frigg: il loro rapporto con Odino, l’allitterazione nei nomi o gli elementi di connessione al lutto. Numerose fonti archeologiche svedesi e norvegesi, dalle età della Pietra e Del Bronzo, provano che il culto delle deità femminili in Scandinavia sia molto antico e abbia sempre mantenuto certi filoni e caratteristiche.

Ad esempio, sono ricorrenti la simbologia degli uccelli, la danza, l’abbigliamento e l’acconciatura raccolta (rappresentata nelle Gotland Stones o nella Guldgubbar).
Le deità femminili, inoltre, sono sempre state archetipo di fertilità, sacrificio, dualismo vita-morte.
Alcuni nomi di queste divinità sono, purtroppo, andati perduti anche se si suppone che facessero parte della stirpe dei Vani. Gli stessi nomi di Freyja e Frigg non appaiono mai su iscrizioni runiche. L’unico posto che porta il nome di Frigg risulta essere Friggeråker in Svezia, mentre luoghi nominati in onore di Freyja possono essere trovati in abbondanza in Scandinavia ma non nell’Europa continentale. In generale, località battezzate con nomi Vanici risultano essere molto più numerose e antiche di quelle dedicate agli Asi (come provato da J. Sahgren).

Freyja si conferma, quindi, un’antica e potentissima dea, come anche asserito da Jan de Vries.
Fondamentale è l’apporto che Tacito ci tramanda, soprattutto nell’introdurci a Nerthus, prima dea vanica e germanica di cui si abbiano tracce, che, secondo alcuni, cambierà poi sesso per diventare padre di Freyja, Njörðr. Siamo, con De origine et situ Germanorum, nel 98 d.C.
I primi riferimenti a Frigg arrivano, invece, dagli scritti sui Longobardi di Paolo Diacono, nel IIX secolo d.C., e successivamente dalla Germania settentrionale, verso il X secolo.
È solamente con l’Edda di Snorri Sturluson, che Frigg viene scoperta essere elemento fondamentale del pantheon norreno.

 

Al di là, poi, dell’evidente allitterazione, anche i nomi di queste dee hanno orgini diverse. Ásdísardóttir ritiene infatti che l’origine del nome di Frigg sia legata al sanscrito “Priya” (= moglie, amata), da cui poi i germanici “Frija”, “Fri” o “Frige”. Si tratterebbe, dunque, di un nome indoeuropeo, frutto delle migrazioni nel continente. Inoltre, ci sarebbe da tener conto della cosiddetta interpretatio germanica, secondo la quale, la dea Venere diventerebbe Frigedaeg.
La conclusione di tali considerazioni sarebbe che, nella sua originaria forma Indo- Europea, Frigg fosse probabilmente una vitale dea della fecondità, in senso materno. Dall’altra parte, il nome di Freyja significa “signora, regina” (secondo de Vries).

La radice del nome, infatti, parrebbe correlata a termini quali “frouwa” o “frua”, appunto “signora”. Ciò potrebbe essere dovuto alla discendenza degli Ynglings o anche ad una sorta di tabù reverenziale nel pronunciare il vero nome della dea. Freyja è chiamata anche con altri nomi, quali ad esempio Gefn, Syr e Hörn, che significa “lino”. Richiamo, infatti, alla fertilità ma anche alla tessitura e, quindi, al seiðr, pratica che, stando a quanto scritto da Snorri, è stata tramandata agli Asi proprio dalla stessa dea.

Per quanto riguarda il possesso di un abito da uccello, solamente Snorri lo menziona nei riguardi di Frigg, mentre risulta essere una caratteristica certa di Freyja. Costei è, infatti, alla guida delle Valkyrie e pure loro nella Völundarkviða sono abbigliate di vesti d’uccello. Anche in questa circostanza, è apprezzabile il dualismo di vita e morte attribuito alla dea, correlato soprattutto alla guerra.
Ad esempio, nel Grímnismál, si dice che Freyja viva nel Fólkvangr (letteralmente, “campo di battaglia”) e si spartisca le anime dei caduti con Odino. D’altronde, il culto di deità femminili dotate di poteri stregonici come le Disir, le Norne o le Valkyrie, è più antico dei loro stessi nomi.

Per quanto concerne il rapporto con Odino, Frigg è sempre detta esserne la moglie ma, nel Sörla þáttr, Freyja ne sarebbe l’amante.
Freyja, poi, è la sposa di Óðr, della stirpe dei Vani, che però, per alcuni, sarebbe una manifestazione secondaria dello stesso Alföðr, non solo per la similitudine dei nomi, ma anche per la loro comune abitudine ai lunghi viaggi lontano da casa.
Nonostante queste similitudini, il rapporto con Odino ci dice molto sulle loro differenze. Frigg è, infatti, la moglie ma non è in alcun modo coinvolta con il concetto di Morte, con cui, invece, Freyja è strettamente connessa, ma in termini soprattutto di fertilità.

Degno di nota è anche il fatto che entrambe le dee, ad un certo punto, si trovino ad avere a che fare con il dolore: mentre, però, per Frigg si tratta della tipica afflizione di un madre che perde il proprio figlio, quello di Freya è molto più complicato. È, infatti, la dea con la più forte aura sensuale: un’erotismo legato all’oro, come il colore delle lacrime che piange per la mancanza del marito Óðr.
In conclusione, possiamo certamente affermare che le somiglianze tra le dee siano meno evidenti delle differenze, e comunque non giustificherebbero una sovrapposizione delle stesse, quanto invece una sorta di mescolanza tra le due figure. A spiegazione di questa tendenza, innegabilmente il fatto che Frigg rassomigli più all’ideale di donna cristiana vicino al contesto storico e sociale di Snorri.

Nell’Edda, infatti, Frigg, in quanto moglie di Odino e madre di Baldr, è fortemente presente, e descritta come una sorta di “regina dei cieli”.
Freyja è invece troppo libera, sensuale, erotica ed indipendente: appartiene, infatti, alla stirpe de Vani, dei di fertilità, di terra e natura incontaminata, mentre Frigg appartiene agli Asi, dei di guerra, conoscenza e di cielo. A Freya venivano offerti sacrifici di sangue e in forma di artefatti, il culto di Frigg, invece, è molto più

immateriale e non vi sono tracce di questo genere di offerte.
Ingunn Ásdísardóttir conclude, dunque, la sua analisi specificando che, nonostante entrambe le divinità siano legate alla fertilità, lo sono in modo totalmente diverso l’una dall’altra.
Sebbene il processo di cristianizzazione abbia portato alla ribalta la “nuova” figura di Frigg, a discapito di quella più antica e radicata di Freyja, non è stato possibile cancellare la tanto adorata dea, la cui presenza ancora impregna la terra di questi popoli. Il risultato sarebbe, quindi, una sorta di miscela tra le loro caratteristiche che spiegherebbe come mai, nel tempo, sia sorta la tendenza a considerarle una cosa sola.

Articolo di Jessica Venturelli

Per Vanatrú Italia

 

 

 

*Per richiesta attestazione fonti articoli, rivolgersi al Vanatrú Italia *

 

 

Per approfondimenti: 

Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.

Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.

Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.

Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni.

 

*Gli “share” senza citazione della fonte sono elemento di querela poiché si ledono gli elementi del copyright sanciti dalla legge italiana*

 

 

Ylenia Oliverio
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Fondatrice e docente dell'Accademia Vanatrú Italia.

Laureata in Filosofia e Storia, Master post Laurea in Beni Archeologici, Master in Preserving and Increasing Value of Cultural Heritage, conseguito a Roskilde (Copenaghen), ulteriore integramento post Laurea
in Scienza dei beni Archeologici.

Archeologo da oltre 13 anni, specializzata in scavo dei cantieri urbani, ha incentrato la sua attenzione verso i culti dell’Europa del Nord e dell'Euroasia durante la sua permanenza nel Canton Ticino per stages formativi al Centro Studi Internazionali Luganesi.

Svolge attività di formazione e informazione, in Italia e in Europa, per la promozione, divulgazione e rivalutazione del Culto Vanico, del Paganesimo puro e degli Antichi Culti dell’Europa ed Euroasia.

Il primo incontro con la Stregoneria Tradizionale è avvenuto nel 1990.

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