Yule: indagini archeologiche e simboliche

Articolo di Federico Pizzileo e Irene Benetti

Jul, comunemente considerato il Natale nei paesi scandinavi è chiamato anche midsvertrarblót (sacrificio di Inverno) e/o Hǫkunótt (di origine ed etimologia incerta): si tratta perciò di una parola che deriva dall’antico norreno jól, tramandata di generazione in generazione in numerose varianti in tutte le lingue di ceppo germanico.


L’etenismo moderno ha l’abitudine, ben consolidata, di collocare le principali festività scandinave in corrispondenza dei solstizi e degli equinozi, e a sostegno di questo ci sono numerosi articoli su Internet e dintorni, che talvolta portano anche il nome di autori che si autodefiniscono importanti.
Tuttavia, di recente, molti studiosi hanno ormai cambiato la propria opinione, ma nonostante questo, la concezione è ancora ben lungi dall’essere sradicata dalla coscienza collettiva, tant’è che ogni anno possiamo ritrovare sempre le solite rappresentazioni.
L’idea che i germani settentrionali celebrassero jól durante il solstizio invernale, inteso quindi come momento di adorazione per la rinascita del sole, sembrerebbe infatti del tutto logico in una terra così fredda e poco fertile, e spiegherebbe anche come ai cristiani sia stato sufficiente unire le due festività in un’unica sola, appropriandosi di elementi altri. La realtà è però più complessa di quello che appare, perché se vogliamo veramente riuscire a ottenere la ripresa parziale del culto, allora dobbiamo innanzitutto rifarci alle fonti principali, siano esse filologiche, archeologiche, linguistiche e così via.


A differenza di molte altre “religioni” antiche, il culto nordico nella Scandinavia precristiana apparentemente non possiede vere e proprie attività di culto dedicate a ciò che era considerato manifestazione cosmica: Sól e Máni non erano considerati divinità in sé e per sé, ma più una personificazione di un Gigante, subordinati sempre alla volontà del Tempo, quindi anche del Destino, delle Norne (vedesi “La Profezia della Veggente”).


LE FONTI PRINCIPALI
Le più antiche tracce della festa di Yule ci arrivano dal VI secolo per mano dello storico bizantino Procopius, il quale riporta come gli abitanti della Scandinavia (da lui chiamata Thule) celebrassero una festa per il ritorno del sole…ma molti giorni dopo il solstizio d’inverno!
In ​Helgisaga Óláfs konungs Haraldssonar​, ci si riferisce al blót di metà inverno (miðsvetrarblót), chiamandolo anche jólabloð e jólaveizla, entrambi sinonimi di Yule, confermando così implicitamente che il principale evento pagano di jól avvenisse dopo la data ufficiale del Natale cristiano, nonché molte settimane dopo il solstizio d’inverno.
In più, nella ​Hákonar saga Hákonarsonar viene ​descritto jòl come un evento della durata di tre giorni e tre notti a partire da Hǫkunótt, collocata a metà inverno.
In ​Hervarar saga ok Heiðreks​, jól viene invece celebrato in Febbraio, ancora più distante dal solstizio.
Lo storico Thietmar di Merseburg, sostenne che il grande blót di Lejre, in Danimarca, fu celebrato invece in Gennaio, anch’esso a distanza dall’epifania.

Tutto ciò per rimarcare un dettaglio che a molti del panorama eteno sfugge: è un errore pensare che il solstizio d’inverno coincida con questa notte, perché secondo il calendario giuliano, il giorno più prossimo cadrebbe intorno al 14 gennaio, mentre se si segue il computo gregoriano (entrato in vigore solo dopo l’avvento della cristianizzazione, sostituendo il precedente solamente nel 1700), il giorno è invece il 20 gennaio, come suggerito da Nordberg.


IL CALENDARIO LUNISOLARE DEI GERMANI SETTENTRIONALI
Ribattendo e scandagliando lo studio, sappiamo che, nonostante oggigiorno il rituale del solstizio d’inverno sia acclamato in ogni dove, sappiamo bene che per le genti del Nord molto spesso i più piccoli elementi potevano nascondere i significati e le dinamiche rituali relegando a tempi e modi differenti da quanto si potrebbe pensare: ecco perché lo ​yule blót​, eseguito tra Gennaio e Febbraio, era considerato come un momento di fermo che prelude al cambiamento.

In tutto ciò reputiamo sia altresì importante valutare il computo precristiano del tempo adottato in Scandinavia.
Tra i diversi mesi, il calendario nordico ha due mensilità precise chiamate Ýlir e Jólmánuðr, che altro non sono che il corrispettivo di Gennaio e Febbraio.
Le attestazioni primarie da cui possiamo ricavare queste informazioni sono in primo luogo dei testi gotici, a cui seguono scritti anglosassoni del VIII secolo, tra cui le cronache redatte da Beda Il Venerabile a supporto delle prime.
Da questi ultimi scritti si evince come gli Angli basassero il conteggio del tempo sui cicli lunari, e che gli anni erano però determinati includendo anche l’anno solare: ecco quindi la nascita del calendario lunisolare.
Esso veniva utilizzato in tutta la Scandinavia, e comprendeva il conteggio dei mesi a seconda delle fasi della luna, quindi dalla nýr alla né. Tuttavia, oggi sappiamo che un anno solare – o meglio sidereo (ovvero il tempo che impiega la Terra per girare attorno al Sole) è composto da 12 mesi e 365 giorni, eppure sono solamente 354 i dì impiegati per completare 12 cicli lunari.
Questo, capite bene, si trasformava in una sorta di modifica importante anno dopo anno, perché implica togliere dei giorni utili per attività come semina e raccolto.
Per spiegarci meglio possiamo dire che ogni mese praticamente iniziava 11 giorni prima rispetto l’anno precedente, a meno che il sistema di conteggio non venisse fermato all’improvviso rendendo tutto più equilibrato.


Ma immaginate l’uomo del tempo, il quale utilizzava il computo dei mesi per determinare anche quando giungeva il momento del raccolto e, quindi, intento a cercare una soluzione alla dinamica naturale per evitare di ritrovarsi continuamente a perdere giorni fondamentali anno dopo anno. Ecco, l’unico modo per assicurarsi che tutto filasse liscio era per l’appunto Yule, interpretata come una festività che segnava il suddetto fermo.
Questa marcava esattamente il punto dell’anno che serviva a bloccare l’avanzata e lo stravolgimento degli 11 giorni: ma, in tutto ciò, il solstizio d’inverno non era il vero festeggiamento, anzi diventava la fine del primo mese di Yule, e in questo modo i germani settentrionali sapevano che il secondo mese iniziava esattamente dalla nascita della successiva luna nuova o luna di Yule, a prescindere da tutto.
Ciò ha comportato qualche rimbalzo dei restanti giorni dell’anno, ma sicuramente il vantaggio principale è stato quello di evitare un perenne ciclo che andava soprattutto ai danni dell’agricoltura, un aspetto molto importante per l’uomo.


E per quanto riguarda l’estate? Ecco che giunge in nostro soccorso nuovamente l’indagine di Nordberg, il quale ci fa notare che, se la luna nuova avveniva 11 giorni dopo il solstizio, il restante tempo dell’anno veniva invece collocato intorno al tempo del solstizio d’estate, e in questo modo tutto il conteggio era più regolarizzato.
Questi eventi astronomici – possiamo affermare con certezza – erano piuttosto un regolatore del macro-tempo. Il motivo che spingeva i germani settentrionali a non confondersi nel computo è il sistema inclusivo adottato, in cui l’ultimo anno del ciclo era anche il primo del successivo, e così tutto ciò veniva incorporato anche nelle pratiche cultuali che prevedevano l’osservazione del Tempo Sacro per la ritualizzazione di eventi collettivi, ma tutto avveniva in funzione di altro, non certamente della tipologia di luna o del movimento del sole nell’hic et nunc.
Certo, alcuni potrebbero anche dire che secondo alcune fonti sappiamo che il popolo nordico teneva in molta considerazione i solstizi ed equinozi, ma le principali celebrazioni erano invece cadenzate in modo da dividere il calendario annuale in quattro momenti, senza farli coincidere con i summenzionati avvenimenti astronomici, e per questo sembra siano stati calcolati in base al movimento lunare.
lA tal proposito, lo stesso Snorri ci narra che i rituali di Yule venivano celebrati alla seconda luna piena del secondo mese di Yule, ciò significa che si riferisce a una festività celebrata non prima del 5 gennaio e non dopo il 2 febbraio.
Allo stesso modo, Nordberg osserva che lo stesso metodo panscandinavo precristiano veniva infatti utilizzato anche per le altre cadenze annuali come vætrnætr e dísablót.


BREVE ACCENNO SIMBOLICO
Se entriamo nella dimensione simbolica e psichica dei nostri Antenati possiamo scoprire anche il motivo intrinseco per cui il Tempo (Sacro) che appartiene al mito è riuscito a essere proiettato e introiettato così facilmente dal popolo del Nord, ma per capirlo sommariamente ci viene in aiuto invece G. Durand.
Nel suo celebre trattato egli ci mostra come la caducità della vita, lo scorrere ciclico e tutto ciò che ne consegue è legato inesorabilmente al formicolio, ovvero all’attività perturbante che collega alla simbologia, per esempio, del cavallo – di valenza ctonia ma soprattutto diurna, valido aiutante per la comprensione del mondo, simbolo messo quasi al pari dell’immaginale più notturno, legato alla Luna invece che al Sole, e quindi di vita e rinascita, di ricerca interiore, praticamente la ruota.
Ecco uno dei possibili collegamenti per cui i nostri Antenati individuano nello scorrere dei giorni e quindi come elemento portante del Sole e della Luna un carro e dei cavalli, che non solo indicano il viaggio ma creano la condizione interiore che preserva quel Tempo Mitico inespugnabile neppure dall’inconscio, poiché si parla di arché: questo viene anche mostrato dalla modalità inclusiva tipica dei popoli del nord, sempre vicini all’Origine seppur macchiati da altri culti provenienti da fuori l’Europa.


“​La Luna appare come la grande epifania drammatica del tempo”​, anche il Sole lo fa, ma rimane sempre fermo e completa il mistero in un apparentemente breve periodo.
“Come sottolinea Eliade, è grazie alla luna e alle lunazioni che si misura il tempo: la più antica radice indo-ariana che si riferisce all’astro notturno -me, dà il sanscrito mas, l’avestico mah, il mena gotico, il mene greco e il mensis latino, e comunque vuole ugualmente dire​
misurare
.​ ”


Entrambi sono astri di fondamentale importanza tanto nella dimensione spirituale quanto nella densa struttura psichica dell’uomo di un tempo, abituato a una relazione più profonda rispetto a come siamo abituati oggigiorno.
Anche questo fa parte della nostra ripresa parziale del culto autoctono, che si spoglia delle incursioni abramitiche per offrire una visione d’insieme il più completa possibile.


Infine, un ringraziamento a E. Storesund.


Per approfondimenti: 

Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Tröld*R: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni.


*Gli “share” senza citazione della fonte sono elemento di querela poiché si ledono gli elementi del copyright sanciti dalla legge italiana*

Ylenia Oliverio
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Fondatrice e docente dell'Accademia Vanatrú Italia.

Laureata in Filosofia e Storia, Master post Laurea in Beni Archeologici, Master in Preserving and Increasing Value of Cultural Heritage, conseguito a Roskilde (Copenaghen), ulteriore integramento post Laurea
in Scienza dei beni Archeologici.

Archeologo da oltre 13 anni, specializzata in scavo dei cantieri urbani, ha incentrato la sua attenzione verso i culti dell’Europa del Nord e dell'Euroasia durante la sua permanenza nel Canton Ticino per stages formativi al Centro Studi Internazionali Luganesi.

Svolge attività di formazione e informazione, in Italia e in Europa, per la promozione, divulgazione e rivalutazione del Culto Vanico, del Paganesimo puro e degli Antichi Culti dell’Europa ed Euroasia.

Il primo incontro con la Stregoneria Tradizionale è avvenuto nel 1990.

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