Maschere in Europa

Estratto dalla lezione sull’excursus storico, sociale e simbolico della maschera in Europa

Ogni epoca del mondo ha costruito le proprie maschere e ogni maschera ha contribuito a formare
un’epoca. La sua evoluzione lungo i secoli costituisce un’importante chiave di lettura della storia
dell’Europa attraverso i suoi volti nascosti: quelli che la scena, il rito e la società hanno di volta in
volta rivelato, oppure protetto.

Gorgone etrusca – 500 ac. British Museum Londra

La maschera nasce prima della parola, prima del teatro: è una delle prime invenzioni con cui
l’uomo ha cercato di dare forma all’invisibile, di incarnare forze che non poteva nominare ma solo
evocare. Nella cultura antica europea, così come in molte culture del mondo, la maschera è stata
da sempre un tramite: un passaggio tra il terreno e il divino, tra il visibile e l’occulto.

Indossarla significava entrare in un’altra condizione dell’essere.
Il volto, fulcro dell’identità personale, veniva coperto, annullato, superato e, nelle civiltà del
Mediterraneo antico, la maschera assume un duplice valore: sacro e scenico.
Nella Grecia classica, diventa sia strumento teatrale che simbolico: amplifica la voce, definisce il
personaggio, ma allo stesso tempo porta l’attore nella dimensione del mito.
La maschera greca non serve a “nascondere”, ma dare volto a ciò che è oltre l’umano. Indossando
la maschera, l’uomo poteva diventare una divinità, poteva rappresentare uno spirito, poteva
incarnare un archetipo.

Maschere dionisiache

Prima di diventare un oggetto di scena, la maschera è stata un atto sacro: non nasceva per
rappresentare, ma per trasformare. L’uomo primordiale la indossava per diventare qualcos’altro:
una forza, un dio, uno spirito della natura.
In Europa, molto prima della nascita del teatro, la maschera era parte fondamentale dei riti agrari
e, soprattutto, delle cerimonie di passaggio stagionale.
Nelle incisioni e nei dipinti ritrovati all’interno delle caverne paleoeuropee, tracce di volti
suggeriscono già in quei tempi un uso simbolico del travestimento e del “doppio”.
L’uomo antico si copriva il volto non per nascondersi, ma per aprire un varco tra due mondi: quello
visibile e quello invisibile.

Dalla Francia gallica alla Spagna, dai paesi balcanici fino all’Inghilterra, la maschera ha seguito
percorsi diversi ma complementari; ovunque la maschera rappresentava un ponte tra l’uomo e
l’oltre: un simbolo e al tempo stesso un tramite per comunicare con ciò che non è umano.
L’Europa antica ha conosciuto una varietà di maschere: di legno, di lino, di bronzo, d’osso, di cera,
ma in ognuna di esse è rimasto intatto lo stesso principio di dare un volto all’invisibile.

Caretos portoghesi

La maschera europea non ha mai smesso di trasformarsi, nè di ricordare le proprie origini. Nelle
epoche successive saranno infatti il teatro rinascimentale e la Commedia dell’Arte a riscoprirla
maschera, e lo faranno attingendo proprio al suo retaggio antico: dietro alle maschere di
Arlecchino, Pulcinella e Brighella, sopravvivono ancora gli echi delle maschere greche e romane.
E’ rimasta, nei secoli, ciò che è sempre stata fin dall’inizio: uno spazio di metamorfosi, un mistero,
una soglia tra ciò che si mostra e ciò che si cela.


Studiare la storia della maschera nell’Europa antica significa comprendere come l’uomo abbia
sempre avuto bisogno di raccontarsi attraverso un volto che non è il proprio, un viaggio dentro la
memoria più profonda della nostra cultura.

Irene Parmeggiani
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