Da animale “comune” a bestia oltrenatura, a dio potente e governatore.
La linea di fondo è che questa pelle, che sia attribuita a questo o quel dio, nella sua interezza simboleggia la risurrezione e la pubblicazione da un lato, la rigenerazione e la nascita dall’altro. Ci espone una chiave di lettura che connette allo smembramento che associa al velamento del mystes nel momento dell’iniziazione, per accedere al cancello della metamorfosi.
(R. Attalla Luxor University)
In Egitto va menzionata una pratica di sepoltura che prevedeva però una nebris posta nella tomba come simbolo di imponente maledizione sul povero malcapitato. Una nebris di capra/pecora che da animale utile e fondamentale diviene simbolo di viltà.
(Vedi tomba del figlio traditore di Ramses. I
ricercatori sostengono che sia Pentawere, figlio di Ramses III)
Gli Egiziani distinguevano due grandi categorie di animali: i “grandi quadrupedi”, definiti col termine mnmn.t e i “piccoli quadrupedi”, indicati dalla parola .wt
A quest’ultimo gruppo appartenevano anche i caprini. […] Esse compaiono frequentemente sia nelle rappresentazioni sulle pareti delle tombe sia nei testi dall’Antico Regno fino all’Epoca Tarda. Furono probabilmente i primi animali selvaggi ad essere resi domestici.
(prof. Pascal Vernus all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, IV sezione dell’Université Sorbonne di Parigi)
Il canale di conoscenza ci parla di una pelle legata al rapporto uomo animale; è interessante anche nello sviluppo del collegamento con lo spirito del luogo.
Il sangue versato è sangue rituale che va poi offerto per gestire il mistero che collega nelle viscere della terra.
Interessante anche con un importante rituale scandinavo ovvero il níðstang.
Si supponeva che il feticcio era creato dalla testa ed in molti casi dalla nebris di un cavallo. Si narra che fosse un demone che causava danni e rovina ad altre persone, spesso attraverso la magia.
In realtà il Vanatrú si è distinto sulla perfetta esamina del rituale nordico estratto dalla Saga di Egil Skallagrimsson, ed accennato nel Vatnsdæla saga, durante un holmgang, con una differente versione in cui Jökul ha sollevato un palo contro Finbogi per la sua codardia, intaglia una testa umana che viene posta su un palo, per poi posizionarla nel petto della cavalla sacrificata , con la testa rivolta verso l’abitazione di Finbogi.
Non basta soffermarsi sulla storia norrena, sul mito della nostra Europa, ma per carpire la società del tempo, io devo entrare nella mente dell’uomo in atto contestualizzato ed esaminare le reali forme di un termine.
L’offesa tramite NIÐ presuppone l’atto verbale connesso al male-dire. Un’offesa a tale scopo viene sempre menzionata in fase di cristianizzazione
Questo legame terra/radici/antenati accorpa una delle vendette più delicate della tradizione.
La dannazione, in questo caso subisce una fonte estesa.
Il rituale che abbiamo raccolto dona una vista interessante all’offesa del “MAL*DIRE” (Nið) che tocca un Hamr e non un singolo soggetto, per cui l’atto nefasto giunge sino alla radice della stirpe di chi ha leso in atto di INGIUSTIZIA.
La regione in esame dove riaffiorano queste meravigliose tracce di culto domestico sono presso Ísafjörður (dall’islandese: fiordo dei ghiacci) nel Skutulsfjörður, una parte dello Ísafjarðardjúp.