L’interiorità di una strega

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«Vedere il mondo in un granello di sabbia,

e il paradiso in un fiore selvaggio,

Tenere l’infinito nel palmo della mano

E l’eternità in un’ora»

(William Blake, “A World, A Heaven, The Eternity”)

Partiamo da un assioma che dovrebbe ormai essere ben chiaro a tutti i politeisti e non: il tempo non è come ce l’hanno voluto far credere.

Il tempo non è lineare, non inizia in un punto specifico e non finisce in un punto specifico, ma anzi è circolare, forse potremmo dire spiroidale.

Ecco il primo presupposto del Mito, che in qualsiasi epoca e società si è evoluto ha sempre mantenuto tale caratteristica.

Il Tempo.

Il Tempo è difficile da concepire per molti esseri umani, forse per la maggior parte, interessati più che altro allo scorrere delle loro giornate, nel tran tran quotidiano.

Ma allora perché, in qualità di streghe, dovremmo occuparcene?

Perché è importante capire e sapere come e per quale motivo il Tempo agisce prima fuori di noi e poi dentro di noi?

A queste domande cercherò di dare una risposta qui, concentrandomi soprattutto su quanto concerne tutto ciò che è micro.

Il paradosso del tempo

Euro, dollaro, sterlina, yen, bitcoin…tutte valute che oggigiorno sembrano essere così importanti, così fondamentali e persino essenziali.

La verità? Non conto di averla in mano, ma una cosa è certa: l’unica moneta che conta è il tempo.

Chi ha individuato il paradosso essenziale di questo è stato l’antropologo Augé¹, il quale scrisse che è difficile ma fondamentale acquisire la consapevolezza che ognuno di noi vive, ha vissuto e vivrà in un luogo e in uno spazio che precede la sua nascita e succede la sua morte.

La vita di ogni essere umano è scandita da tempi rotondi, che a loro volta presentano i due poli portanti, ossia quando veniamo al mondo e quando poi lo lasceremo, e da qui l’esistenza ritorna a sé stessa.

Senza andare troppo lontano, il primo spazio circolare che effettivamente possiamo esperire è nell’utero materno.

Qui esiste il paradosso, ma è sempre qui che si trova quello che alcuni psichiatri potrebbero chiamare “il vero Sé”.

Qui si esperisce uno spaziotempo circolare, dove non esiste la vita e non esiste la morte, dove effettivamente viviamo al di là di qualsiasi misura concepita dall’essere umano, sperimentiamo lo ctonio, il mistico, l’unico cammino che unisce gli opposti.

Siamo nel nero.

Non è un caso che durante il rito e il viaggio dell’anima si faccia in qualche modo utilizzo del ritmo, che sia di un tamburo piuttosto che di altri strumenti.

Il battito cardiaco materno che ascoltiamo quando eravamo nell’utero è ciò che sovviene alla memoria nell’interiorità, e di colpo si cade in trance.

Il ritmo del tempo

Facciamo un passo indietro: quando veniamo al mondo, potremmo quasi dire che cadiamo nel tempo storico.

Tutto ciò che facciamo, come suggerisce anche Emil Cioran², diventa vivo perché percepito all’interno di frangenti misurabili, nel processo storico della Terra o di Miðgarðr.

Ma cosa ci differenzia effettivamente da quanto avveniva in antichità?

Ebbene, osservando i templi costruiti in Europa, possiamo scoprire forme  geometriche che diventano le chiavi di tutto il discorso: il cerchio, la spirale e la forma ovoidale.

A tal proposito ci vengono incontro due studiosi: Marija Gimbutas e Erich Neumann.

Mentre la prima ci regala la scoperta importantissima delle prime immagini della cosiddetta Dea Madre, il secondo analizza l’archetipo femminino come fonte di circolarità eterna e rinnovatrice.

Nella mente arcaica e primitiva, lo spaziotempo era considerato come una spirale, in cui tutte le qualità degli eventi che accadono vengono semplificate e mostrate attraverso simbologie primordiali.

Il rapporto dell’essere umano con il mondo circostante non era oggettificato ma soggettivante: l’anima coesisteva in tutte le cose, in un meccanismo di connessione invisibile ma reale.

In questo modo, come osserva anche C.G. Jung³, il rito era intriso di quel ritmo che collegava i meccanismi più grandi con quelli più piccoli e infinitesimali che si svolgono nel profondo dell’anima.

Se cessassimo di praticare la nostra religione, nel volgere di dieci anni il sole non sorgerebbe più. E allora sarebbe notte per sempre” gli disse un anziano del gruppo di indiani Pueblos.

Esiste un’armonia imprescindibile tra le cose, che però solamente chi ha gli occhi interni ben aperti può sperimentare e osservare.

Ecco quindi il ritmo che si deve avere nel processo di Individuazione e di Risveglio.

Riscoprire e risvegliare il Daimon vuol dire percorrere il sentiero dell’Eroe, soprattutto in una misura interna, che è fatta di spirali: un labirintico percorso che è al tempo stesso pericoloso ma assolutamente necessario per quanti decidono di prendere in mano il proprio Ricordo.

Il tesoro del drago, come ci racconta anche l’immane lavoro di Michael Kelly⁴, la Strega lo conquista attraverso l’apoteosi interiore, cioè quando si risveglia il Drago e si prende coscienza che l’Eternità riposa nel profondo di ognuno di noi, perché non è mai morta e mai nata.

«il mito non è mai accaduto, ma è sempre»

(Sallustio)⁵

Del resto, un vanatruar lavora affinché si sviluppino i vari Ragnarǫk  interiori ed esteriori: ecco quindi la risposta essenziale alle domande presupposte all’inizio di questo articolo.

Il percorso è arduo, complicato, sofferente, sporco, ma è anche sublime, glorioso, sorprendente, brillante.

L’interiorità di una Strega è il labirintico divenire che nasce dalla consapevolezza che vita e morte si equivalgono, ma per riuscirci dobbiamo assaggiare il veleno, lasciar corrodere, morire e tornare a nuova vita, con una nuova vista.

Questa è del resto una netta conseguenza, a fronte del fatto che:

«La pratica vanica è circolare […] il sacro e il profano si sovrappongono e si intersecano. I Vanir sono connessi a tutto ciò che è nel mondo, sia la bellezza e sia la brutalità della natura; sia i pensieri più alti e sia i desideri più profondi dell’umanità. Sono i custodi della ciclicità dei Ragnarǫk»⁶

¹ Augé Marc, Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo, Elèuthera edizioni 2017

² Cioran Emil e Turolla Tea, La caduta nel tempo, Adelphi edizioni 1995

³ Jung Carl Gustav, Ricordi, sogni, riflessioni, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 2012

⁴ Kelly Michael, Aegishjalmur: The Book of Dragon Runes, CreateSpace Independent Publishing Platform 2011

⁵ Sallustio, Sugli dèi e il mondo, Adelphi edizioni 2000

⁶ Heid Laugrith, Tröld*R: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni 2019


*Gli “share” senza citazione della fonte sono elemento di querela poiché si ledono gli elementi del copyright sanciti dalla legge italiana*

Federico Pizzileo
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Seminarista e docente presso l'Accademia Vanatrú Italia.

Gli studi di linguistica e di filologia germanica universitari gli hanno aperto il mondo verso uno sguardo nuovo alle parole e alle radici europee. Con l'arrivo in A.V.I. ha potuto scoprire la sua origine pagana, entrare nella stregoneria, nell'esoterismo e nell'occultismo e acquisire il metodo di ricerca innovativo.

Oggi, oltre a essere seminarista, si occupa anche della sezione di classi relativa al mito, al rito, alle saghe e al recupero del pensiero dell'uomo antico.

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