Nīþ: il verbo dell’ultima maledizione

“Ora il nobile (Kveldúlfr) ha preteso vendetta sul re;

ora il lupo e l’aquila calpestano i figli del re.

I cadaveri squartati di Hallvarðr (i nemici) volarono in mare;

l’aquila grigia piange le ferite.”

Questa è la nostra traduzione di un passo della Saga di Egil, scritto da uno dei personaggi del racconto, Skalla-Grímr Kveldulfsson padre di Egil. Egli nasconde tra le strofe, oltre il primo livello di interpretazione, l’essenza di un atto fondamentale per i nostri antenati.

Osservando il sapiente utilizzo del verbo di quella che è considerata la prima stanza rimata della poesia nordica, possiamo constatare un aspetto essenziale di tutto l’ethos germanico: il concetto di vendetta.

Esistono, infatti, elementi che accomunano tutte le tribù e le comunità germaniche, che ruotano intorno a valori e onori condivisi, spingendo oltre le distanze temporali e geografiche. Questo lo si assume facilmente leggendo gli scritti a noi pervenuti, tra cui poesie e soprattutto saghe – in qualità di opere scritte che trattano il sacro.

Stiamo parlando di virtù immortali che appartengono al pensiero dell’uomo pagano antico, e che noi ripeschiamo per riportarle nella modernità, perché è giunto il momento del ritorno al Paganesimo.

Etimologia del verbo

Nīþ è un termine Proto-Germanico che si traduce facilmente in “Odio”, ma scendendo nel profondo delle sue origini, attraverso il nostro metodo di indagine, possiamo ricavare un altro importante elemento ossia il sostantivo Proto-Indoeuropeo *neyH- che si traduce più o meno in “guidare”.

Per comprendere il verbo dell’ultima maledizione è infatti necessario entrare nel pensiero dell’uomo pagano antico, per il quale l’atto del male-dire diventa la risposta necessaria che guida l’odio verso il risanamento di un dolore che va oltre l’individuo singolo, che comprende quindi un intero gruppo. 

A tal proposito ci viene in aiuto Friedrich Nietzsche, il quale scrive ne “La Gaia Scienza” che l’odio rappresenta una delle più alte forme di conservazione della specie. Da questo è facile capire che si tratta di un sentimento che non va estirpato come ci hanno voluto far credere le religione monoteiste, attraverso il “porgere l’altra guancia”, ma è invece un elemento che lega più individui di una stirpe e che li guida fino al raggiungimento dello scopo primario, il per-dono

 

L’offesa e il diritto alla vendetta

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Crediti: Graf Matula

L’atto della vendetta è per il popolo nordico ed europeo un’operazione fondamentale che pervade ogni istante della vita. 

Di questo si fa menzione in fonti epigrafiche, monografiche e giuridiche appartenenti a periodi storici diversi, configurandosi quindi come un leitmotiv pagano.

Ci viene raccontato in primis dal Mito con la narrazione di Víðarr, figlio della gigantessa Gríðr, il quale assume un ruolo importante in uno dei cicli dei Ragnarök attraverso il ricordo e il silenzio che precede la più temuta vendetta. 

Lindow infatti ci suggerisce l’importanza di questo aspetto citando anche il parallelismo con i membri della tribù germanica dei Chatti, i quali sparivano e si lasciavano crescere barba e capelli prima di compiere l’annientamento del nemico. 

La vendetta è quindi la diretta conseguenza di un attentato all’onore di un singolo e/o della comunità, in quanto essi sono custodi del Sacro. L’atto dell’insulto va a colpire non solo i valori e l’immagine ma anche (e soprattutto) l’aspetto divino dentro e fuori di sé, per questo l’azione della vendetta si realizza come un diritto fondamentale e necessario affinché venga compiuta la “compensazione”, ossia una riparazione all’atto di dissacrazione che ruota attorno a tutti e nove i mondi.

Boyer, che per lungo tempo ha approfondito la cultura nordica, è riuscito a cogliere un messaggio importante che attraversa tutti gli studi antropologici ed etnografici, ovvero che “la vendetta è un diritto, non solo un dovere come spesso si dice per leggerezza”. 

Per questo il verbo della maledizione è l’azione più grande che una Strega possa eseguire: essa è il predatore che difende il proprio branco, è l’aquila che caccia e il lupo che sbrana. Con i suoi artigli combatte e ferisce “il Re e tutti i suoi figli”, perché la vendetta dell’ultimo verbo accompagnerà non solo il nemico ma si espanderà alle sue radici, attraversando tempo e spazio come un marchio irremovibile

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John Lindow, Norse Mythology: A Guide to the Gods, Heroes, Rituals, and Beliefs, 2001

Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, 2016

Helmut Rix, Lexikon der indogermanischen Verben, 2001

La Saga di Egil, 2001

Régis Boyer, Il sacro presso i Germani e gli Scandinavi, 1991

 

Federico Pizzileo
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Seminarista e docente presso l'Accademia Vanatrú Italia.

Gli studi di linguistica e di filologia germanica universitari gli hanno aperto il mondo verso uno sguardo nuovo alle parole e alle radici europee. Con l'arrivo in A.V.I. ha potuto scoprire la sua origine pagana, entrare nella stregoneria, nell'esoterismo e nell'occultismo e acquisire il metodo di ricerca innovativo.

Oggi, oltre a essere seminarista, si occupa anche della sezione di classi relativa al mito, al rito, alle saghe e al recupero del pensiero dell'uomo antico.

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