Un estratto della visione del Sacrificio Rituale (Blót Vanidis) per il popolo del Vanatrú.
Il sacrificio così inteso: atto a rendere sacro uno scambio di doni gjöf við gjöf, non ha mai una connotazione negativa. Il popolo del Nord ha assoluto rispetto del sacrificio, soprattutto animale, che non veniva esposto e lasciato morire come tante forme essoteriche ci vogliono accorpare.
Era una parte integrante del lavoro tempio, Hof,. Lì nei pressi avveniva una riunione per la decisione del sacrificio animale o vegetale, nelle vicinanze della festività.
Il sangue che veniva usato, era il frutto rituale di un processo particolare che prende nome di Hlaut, che andava a consacrare il Blót esterno; mentre all’interno del cerchio sacro, lo stesso si trasforma attraverso il galdr del vanir, in Kvasir, atto a quello scopo.
La tazza che lo conteneva era detta Signa per Ríkis (sacro rito della coppa). Tutto ciò per affiancare sempre più gli uomini agli Dei, attraverso la stregoneria.
L’animale costituiva il pasto sacro e veniva rispettato in ogni sua parte che poi apriva l’Hamingja di tutte le stirpi partecipanti.
Le carni venivano cotte su alto fuoco, sacro e trasformatore, spesso attraverso il rito della farina con utilizzo “Úlfrún”.
Spesso in onore del Dio germano Tyr, signore del bosco sacro.
Le forme dei sacrifici erano tante. Le più note quelle che precedono l’immersione sacra per opera della Dea autoctona Nerthus, madre di ogni madre, fonte primaria del Vanatrú, nei pozzi atti a lavori come Blótkeldur e Blótgrafar.
Poco conosciuto il ruolo del Goði, anche se in Italia è di moda definirsi tale, senza nessuna valenza ne connotazione spazio temporale riconosciuta dalla “traditio”;
poiché la sua manifestazione era soprattutto politica ed era subordinata alla funzione della strega/guaritrice.
Difatti in Scandinavia, le stesse funzioni del celebrante, locate in apertura e chiusura del sacrificio, erano affidate al Re, che spesso vestiva valore anche sacerdotale elitario, riducendo così la valenza esoterica e stregona del Goði, in atto politicante di uno specifico clan. Soprattutto nelle kristni Saga, si afferma, invece, il grande ruolo delle donne atte al blót, che hanno sempre un valore di streghe e si associano spesso a signore della morte, legate al culto di Nerthus/Hel, oppure le Gyðia, sacerdotesse citate anche come signore del tempio, Hof-Gyðia, devote o nominali al Dio che ne supportano i fasti.
Queste ultime non si definivano da sole sacerdotesse, era un processo iniziatico e misterico, da Völva a Seiðrkona a Troldkvinde, in uno sposalizio con la deità in atto di Spá ok Sýn. Ovvero antico rituale di visione e veggenza sacrificale.
La stessa si dona e si sacrifica in ogni forma manifesta e non manifesta al culto.
Grande ruolo sacrificale nelle feste sacre era la richiesta delle scarpe per il morto, che sarebbero servite ai cari nella vita dopo la morte, per riconoscere la propria strada. Hylja/helskór.
(estr. completo in “Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni”).
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