Il termine metamorfosi come si può ben immaginare ha origini molto antiche; radici così antiche che l’etimologia della parola stessa si può ricercare e ritrovare con esattezza nell’antica Grecia.
Nella lingua del greco antico infatti se ne può riscontrare l’attestazione con il termine “μεταμόρφωσις” che sta appunto ad indicare la trasformazione ed il cambiamento della forma. Sempre nel greco antico ritroviamo un’altra parola che sta ad indicare il cambiamento in sé, senza specificare però questo mutamento verso cosa tenda, e la parola in questione è “μεταβολή“.
Proprio in Grecia abbiamo uno dei primi resoconti storici, offertoci da Erodoto, in merito all’abilità di alcuni uomini di una tribù, i Neuri, nel cambiare forma, principalmente in quella di un lupo.
Ma cosa è in effetti una metamorfosi? Se si andasse a leggere il significato si leggerebbe che non è altro che la trasformazione di un essere animato o un oggetto in qualcosa di altro, una alterazione della forma verso un qualcosa di natura diversa rispetto a quella di partenza. Ciò può avvenire tramite l’ausilio della Stregoneria, interventi esterni svolti da entità soprannaturali o tramite il volere dei divini. Tantissimi episodi ci vengono riportati all’interno del mito o delle stesse opere letterarie.
Nell’antica Roma un autore che ha scritto un testo specifico proprio sulle “Metamorfosi” era il poeta Publio Ovidio Nasone. Grande esponente della poesia elegiaca, visse durante l’età augustea e fu portavoce del programma riformatore in ambito imperiale di Augusto. All’interno della sua opera si percepisce appieno come il cambiamento possa verificarsi e come questo tenda a far sì che l’essere umano non cambi essenzialmente solo nella forma e nell’aspetto esteriore, ma abbia anche una evoluzione a livello interiore. Una metamorfosi che non è quindi insensata, fine a sé stessa, ma che anzi deve apportare un cambiamento necessario per far sì che si compia un dato destino.
Nel nostro culto Vanatrú Italia la Strega vive di continue morti e rinascite, dalle proprie ceneri riplasma la propria identità e la propria essenza; quella che è stata non è altro che un passaggio per tendere verso ciò che realmente si è portati ad essere. Un sacrificio continuo che, dinanzi agli occhi non solo degli dei, porta di volta in volta, mutamento dopo mutamento, a ricollegarsi a ciò che di più atavico e primordiale risiede nella propria essenza profonda.
Spostandoci quindi in territorio vanico, ed andando ad analizzare ciò che la cultura nordica, con i suoi miti e saghe, ci ha lasciato è innegabile verificare l’oscura bellezza preminente all’interno dell’arte della Metamorfosi. Attraverso gli scritti presenti nell’Edda ci si accorge di quanto questo processo sia stato presente sin dall’inizio dei tempi. Esempio primario non a caso ci è fornito dal gigante Ýmir, il quale tramite l’atto di smembramento porta a prendere nuova forma delle sue parti costituenti (carne, ossa, sangue, calotta) all’interno della creazione del mondo. Ýmir stesso ci viene ricordato all’interno della Völuspá come colui che vi era in principio; colui che ad oggi ancora perdura tramite questo principio di trasmutazione compiuto in atto sacrificale.
Un altro esempio si può osservare analizzando il caso fornitoci dai guerrieri belva, Berserkir ed Ulfheðnar. Si trattava per l’appunto di guerrieri con caratteristiche a tratti sciamaniche, i quali andavano a tramutare la propria forma indossando pelli di Orso (nel caso del Berserker) o di Lupo (nel caso dell’Ulfheðinn) durante le battaglie. Entravano quindi in una sorta di stato di trance, una alterazione che li rendeva insensibili al dolore. Feroci, bellicosi ed inarrestabili, andavano ad acquisire le caratteristiche peculiari dell’animale che andavano a rivestire. Non è un caso se erano appunto definiti, un corpo scelto, una élite guerriera dedita alla difesa dell’incolumità e alla salvaguardia della propria Stirpe.
Famosi per il selvaggio modo in cui erano soliti combattere i nemici, tracce della loro esistenza le rinveniamo principalmente in saghe e racconti. Non abbiamo invece riferimenti degni di nota all’interno di resoconti storici per il momento. Impossibile dimenticare ad esempio la “Saga degli Ynglingar” dove vengono presentati questi guerrieri come compagni di Odino. Oppure la “Egil Saga”, ed ancora la “Grettir Saga” o infine la “Hrólfs Saga Kraka“.
Uomini andati oltre l’umano essere e l’umano sentire, interessanti, peculiari e indubbiamente caratterizzanti, unici nella loro misticità, combattenti in continuo mutamento per tendere verso la realizzazione della causa più grande, ovvero non solo la propria autodeterminazione ma l’autodeterminazione dell’intero clan. Perché la forza del cambiamento del singolo, di riflesso va ad apportare valore e completezza a tutta la Stirpe.
Un’altra figura impossibile da non citare in questa disamina è indubbiamente quella del dio Loki.
Loki, figlio di Laufey e del gigante Fárbauti, incarna l’emblema assoluto del “Mutaforma” e del “Trickster” come si evince dai racconti dei vari canti contenuti nell’Edda. Non è un caso che venga per l’appunto denominato come il dio degli Inganni o dio ingannatore, infatti tramite l’arte della metamorfosi è riuscito più di altri dei suoi pari ad applicare nel pratico questa capacità al fine di generare caos o di riportare ordine ad atti estremi da lui stesso compiuti.
Episodi lampanti possono essere ad esempio il furto del Brísingamen ovvero la magica collana d’ambra appartenente alla dea Freyja presente nel poema skaldico Húsdrápa; in questo poema infatti il dio Loki riesce nell’impresa tramutando il suo aspetto in quello di una foca. Ulteriore episodio può essere quando Loki si trasformò in una mosca per infastidire Sindri mentre stava forgiando, o quando divenne un falco per recuperare la dea Idunna dal gigante Thiazi, gigante che lui stesso aveva aiutato nel rapimento.
Molte altre attestazioni in merito a queste capacità del dio è possibile rinvenire, quello che però più ci interessa e su cui va concentrato il focus di tutto questo excursus è appunto l’utilizzo della pratica del mutare forma.
Mutare forma è un continuo entrare in simbiosi con le correnti della vita che permeano ogni attimo vissuto qui sul Miðgarð, uno smussarsi, un adattarsi con disciplina alle nuove condizioni senza per questo però perdere di base la propria identità stregonica.
Ogni strega che si definisca tale, che si riconosca veramente come tale non può evitare di sperimentare sulla propria pelle, nelle proprie viscere questo atto che si ripete di volta in volta dai primordi, perdendosi e ritrovandosi continuamente tra le pieghe di un tempo circolare, in una immagine immutata ma che inesorabilmente muta.
- Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Tröld*R: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Nawia. Stregoneria e Folk euroasiatico, Anaelsas edizioni.
- G.C. Isnardi, I miti nordici, Longanesi editore.
- Snorri Sturluson, Edda in prosa, Garzanti editore.
- P. Nasone Ovidio, Le metamorfosi, Mondadori editore.
- Erodoto, Storie, Mondadori editore
Luca M. Valentini
Seminarista presso l'Accademia Vanatrú Italia.
Ha svolto studi classici ed è appassionato di storia, mitologia e antropologia con particolare interesse per la sezione nordica, slava ed est europea.
Il primo incontro con la Stregoneria lo ha avuto in giovane età ma solo con la formazione e il culto Vanatrú ha imparato a relazionarsi correttamente e con disciplina alla materia e alla pratica.