Il mito delle sirene nella sua matrice più profonda ha sempre segnato la visione del mondo, quasi come fosse una immensa lente di ingrandimento in una dimensione caleidoscopica. Le grandi menti potevano trarne beneficio, una apertura, una finestra su un mondo appunto nel quale ogni essere vive ma in cui solo un’anima genuinamente evoluta riesce ad andare oltre alle attrazioni arrivando al nucleo vero e proprio, un’anima come spesso solo quella di una strega può essere. Le menti invece accecate dalla bellezza superficiale ne sarebbero rimaste invischiate, chiuse in quel bozzolo di incertezza senza mai arrivare alla pura meraviglia.
Secondo Jung chi è privo di un mito è come un uomo senza radici senza un vero rapporto con il passato e con i suoi antenati, e questo concetto a mio avviso va splendidamente di pari passo con quanto espresso anche da Boorman, ovvero che il mito altro non è che una “leggenda sopravvissuta nel tempo”. Ma come hanno fatto a sopravvivere e perdurare simili leggende? Tramite l’instancabile atto della ricerca e della meraviglia, tramite i nostri antenati appunto che hanno saputo impegnarsi così che quella fiamma antica non si spegnesse facendola giungere fino a noi, ed ora sta proprio a noi far sì che una simile fiamma divampi.
Divampi di una luce non accecante ma che scaldi la mente e spalanchi la vista. Uno dei miti che a mio avviso ha più attecchito e fascinato quelle grandi menti di cui prima ho accennato, è un mito che ritrova corrispettivi con leggere variazioni in ogni cultura, dal profondo Nord Europa fino all’estremo Est: il mito delle Sirene.
La Sirena, quella creatura mitologica che nell’immaginario collettivo richiama subito alla memoria un essere con squame e capace di vivere nelle profondità del mare. Se andiamo però ad analizzare le varie fonti, troviamo che l’aspetto esteriore della sirena muta a seconda della civiltà e delle illustrazioni che ne hanno dato.
Nella civiltà greca ad esempio la sirena era un essere volatile, il cantore Omero infatti ce ne fornisce una descrizione all’interno dell’Odissea (più precisamente nel canto XII°). Il mito delle sirene le vede come esseri mostruosi con il corpo di un uccello rapace e grandi artigli, il volto dolce di donna e la voce dal canto irresistibile. Un canto capace di scavare nelle profondità dell’essere umano, così da scovare e portare a galla quel desiderio irrefrenabile di possesso del sapere, possesso della bellezza che spingeva poi inesorabilmente alla pazzia e alla morte. Spostandoci nel Nord e centro Europa possiamo notare come invece vi è una mutazione nella figura di simili creature, richiamando di più quella visione che abbiamo genericamente ormai tutti al giorno d’oggi. Prendendo il nome di Nixie o Nixe , J. Grimm ce ne dà una descrizione all’interno del suo testo “Deutsche Mythologie” scritto nel 1835.
E’ un trattato specifico sulla mitologia germanica, dove le Nixe ci vengono presentate come creature con mezzo busto e volto di donna e la parte bassa del corpo caratterizzata dalla presenza di una coda di pesce al posto delle gambe. Con le loro incantevoli voci anche loro attiravano i giovani marinai verso un destino di morte e distruzione illudendoli di vedere bellezze inimmaginabili per un qualsiasi essere umano. Va evidenziato che però il legame che vi era con l’acqua non era in modo univoco con quella di mare, potevano infatti essere legate alle acque dei fiumi o anche a quelle dei laghi.
Avendo loro tratti animali, secondo Grimm in questi esseri risiedeva una essenza superiore a ciò che si potesse immaginare, erano un ponte, una via di mezzo tra l’umano, il bestiale ed il divino. Una ulteriore attestazione di queste figure ci è data però ancor prima, intorno alla fine del 1100 e gli inizi del 1200, nel trattato epico dei Nibelunghi.
In Svezia, seguendo il mito delle sirene, addirittura si è sempre pensato che l’arrivo delle nebbie in mare presagisse la presenza di una sirena nelle vicinanze, e pertanto vederla indicava portare a se sventura e cattivo tempo durante la navigazione. Guai all’uomo che si fosse fatto affascinare dal canto di una tale creatura, cedendo alle sue richieste di attenzione o di aiuto. Sarebbe infatti stato inghiottito nei gorghi marini senza avere la possibilità di poter più salire in superficie.
Continuando l’analisi in ambito Slavo, possiamo constatare l’esistenza di due differenti figure che è possibile ricollegare a quella delle sirene del nord Europa e a quelle Greche. La prima è rappresentata dalla Rusalka, o le Rusalki al plurale, e sono donne legate in parte alle acque dall’aspetto pallido ma bellissimo. Possono avere tratti in comune con le Sirene in quanto anche loro in alcune varianti del folk sono rappresentate con tratti fisici simili a quelli dei pesci e sono solite attirare gli uomini all’interno dell’acqua con il loro splendido canto ammaliatore. Una volta in acqua gli uomini venivano portati all’interno dei loro palazzi marini e poi di conseguenza annegati. Se l’ammaliamento invece avveniva sulla terra ferma l’uomo poteva essere spinto a ballare in modo sfrenato fino allo sfinimento e la conseguente morte. Lo studioso D.K.Zelenin fece addirittura uno studio etnografico per risalire non solo alla nascita di questo mito delle Rusalki ma anche alla loro caratterizzazione in base alle diverse zone del territorio slavo che andava via via a studiare.
La seconda ed ultima figura mitologica a mio avviso da analizzare è data da una creatura presente nel folclore russo, ovvero Sirin. Figura di origine sicuramente pagana, poi ripresa e quasi totalmente deturpata della sua originale essenza dalla religione cristiana ortodossa e dai culti abramitici.
Se andiamo a fare una analisi più approfondita infatti, Sirin altro non è che la trasposizione, in un ambiente parzialmente corrotto dalla cultura cristiana, dell’antica figura della sirena greca. L’essere per metà donna e per metà uccello che un tempo cantava per ammaliare e portare l’uomo alla distruzione con la sua voce, ora cantava la lode del dio abramitico. Molto probabilmente la ripresa, la reinterpretazione e la conseguente trasmissione di questo mito delle sirene è avvenuta in ambito bizantino. La voce melodiosa di Sirin però alla lunga, secondo alcune fonti, poteva rappresentare in alcuni casi anche un pericolo per gli uomini che ne venivano stregati. Seguendola fin dove essa li avesse portati infatti avrebbe provocato in loro uno stato di dimenticanza per tutto ciò che concerneva la loro vita terrena.
Sirin poteva essere allontanata secondo il folk facendo rumori forti o utilizzando delle campane che con il loro suono infastidivano la creatura spingendola a scappare altrove. Questo va a testimoniare si una corruzione della fonte pagana da parte della fede monoteistica, ma allo stesso tempo lascia intuire anche il timore per ciò che è sempre stato e sarebbe continuato ad essere. Questa paura non ha mai abbandonato l’animo di coloro che si sono fatti portavoce della salvezza innalzando alto il vessillo del “nuovo dio” , ed hanno invece pian piano lasciato traccia della loro impotenza dinanzi a ciò che maestosamente fu e che, oggi più che mai, finalmente avanza ricollegandoci alle origini.
Per approfondimenti:
- Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Nawia. Stregoneria e Folk euroasiatico, Anaelsas edizioni.
- Omero, Odissea (a cura di A.Heubeck e S.West, traduzione di G. A. Privitera), Mondadori editore.
- J. Grimm, Teutonic Mythology, Cambridge University Press
- L.J. Ivanits, Russian Folk Belief, Routledge editor.
- C. G. Jung, Il libro Rosso, Bollati Boringhieri Editore
Luca M. Valentini
Seminarista presso l'Accademia Vanatrú Italia.
Ha svolto studi classici ed è appassionato di storia, mitologia e antropologia con particolare interesse per la sezione nordica, slava ed est europea.
Il primo incontro con la Stregoneria lo ha avuto in giovane età ma solo con la formazione e il culto Vanatrú ha imparato a relazionarsi correttamente e con disciplina alla materia e alla pratica.