Quindicesimo secolo. Bastava essere donna, saggia, levatrice, mendicante, dai capelli rossi, poco socievole e non stereotipata, così nasceva la persecuzione verso coloro che semplicemente ancora seguivano gli antichi usi e costumi, le streghe di Benevento. Così si condannava chi era a tutti gli effetti un valore aggiunto per la comunità, ma un pericolo per il sacro mascolino portato avanti dalle religioni e concezioni monoteistiche.
Ci fu un tempo in cui donne si riunivano a danzare, ad esprimere il proprio amore per la vita, per la natura ed il sacro che ivi germogliava e ne faceva da padrone. Ma l’uomo, sempre più accentratore, invischiato nella propria natura per l’appunto sempre più umana non poteva comprendere, non voleva accettare che altro ci fosse di superiore nella natura, una forza autodeterminata e non gestita o perseguita da leggi fatte da uomini e per gli uomini ma scambiate per divine.
Ma torniamo a quegli incontri, torniamo sulle rive del Fiume Sabato che assieme al fiume Sannio incastonavano Benevento, in quella conca tra le montagne, smossa da venti impetuosi. Torniamo a Matteuccia da Todi, all’anagrafe registrata come Matteuccia di Francesco, bruciata sul rogo il 20 marzo del 1428 perché donna di potere, donna che conosceva l’uso delle piante medicinali e perché punto di riferimento non solo per la povera gente ma anche per i più benestanti. Una donna si, già questo di per sé rappresentava un fattore incriminante, ma oltre a ciò Matteuccia era anche saggia, sapeva come funzionava la natura con le sue regole.
Sapeva troppo Matteuccia, quindi venne totalmente privata di ogni diritto, venne perseguitata, inquisita, torturata e alla fine, allo stremo delle forze costretta ad ammettere di essere una “cattiva strega di Benevento” una Janara , questo solo per portare a termine quel supplizio, questo solo perché la morte a confronto era meglio, il fuoco a confronto era una liberazione. Ma possiamo citare anche Mariana di San Sisto, condannata perché danzare in compagnia di un’altra donna era un chiaro richiamo all’opera demoniaca, oppure Bellezza Orsini la quale semplicemente aveva aiutato più persone nella malattia e le aveva guarite. Tutte loro così come anche tutte le altre vennero spinte a confessare che riunirsi attorno al Noce di Benevento era un atto dettato da demonio, ungersi con l’unguento oscuro era il modo per volare lì e unirsi insieme nel Sabba.
La loro memoria, la memoria del Noce stesso e delle streghe di Benevento, la memoria di quelle terre venne macchiata dall’infamia umana, dall’impotenza dell’uomo dinanzi a qualcosa più grande di lui. Un Noce Sacro, antichi culti, sacerdoti e sacerdotesse, i ritmi stagionali, le danze e la gioia. Bisognava soppiantare la cultura pagana col baluardo della nuova religio cristiana, il dio unico dall’aspetto umano ma lontano dall’uomo, esterno, altro. E così gli antichi culti di Iside del primo secolo vennero coperti, i culti successivi in epoca longobarda legati a Wotan vennero soppiantati, l’albero sacro andava distrutto. Perché distruggendo il divino manifesto nella natura San Barbato poteva così riportare tutto ad una dimensione terrena, ad una dimensione umana e maschile. Del Noce però, della sua memoria e della memoria di chi ci fu prima di noi però ancora se ne sentono gli echi, i ricordi, i passi di danza, il vento, il sacro e l’incanto incriminato ancora si ode:
“Unguento unguento,
portami al noce di Benevento,
Sopra l’acqua e sopra il vento
E sopra ogni altro Maltempo”.
Sull’unguento delle streghe di Benevento
Gli unguenti ed i medicamenti sono dagli albori dei tempi utilizzati per la cura ed il fabbisogno medico delle persone. Secondo i verbali dei processi analizzati dai vari storici l’unguento era riconosciuto come elemento basilare per poter accedere al grande sabba che si teneva presso il Noce di Benevento. Ma secondo le fonti quali erano gli ingredienti che componevano questo fantomatico olio? Le informazioni a noi pervenute sono giustamente corrotte dallo stato in cui esse stesse venivano estorte.
L’unguento pareva infatti contenesse al suo interno una serie di erbe, sangue animale (precisamente di pipistrello, appunto per avviare il processo del volo) ed alcune volte veniva menzionato anche il grasso estratto dai neonati morti. Scene assai macabre e sicuramente fallaci. Infatti era durante le torture che le donne riferivano di questi ingredienti probabilmente a causa di uno stato di disperazione assoluta, sapendo di trovarsi ormai vicine alla morte. La cosa certa è che queste erbane streghe di Benevento, o Janare, utilizzassero semplicemente gli unguenti in realtà per aiutare la popolazione a curare i diversi mali dai quali erano afflitti.
La figura delle Janare
Sempre tramite le fonti a noi pervenute sappiamo che le streghe di Benevento e in generale nella fascia territoriale dal basso Lazio verso una buona parte del meridione erano chiamate janare. Le tesi sulla nascita di questo nome sono principalmente due: la prima identifica queste donne come le antiche sacerdotesse di Diana (per l’appunto Dianare); la seconda invece fa risalire la natura del nome alla parola latina “Ianua” ovvero “porta”. Secondo la tradizione infatti le Janare entravano nelle case delle persone per compiere i loro atti stregonici tramite il buco della serratura.
Molte attestazioni popolari parlano di metodi per tenere lontane queste streghe posizionando ad esempio del sale vicino alla porta o mantenendo la luce sempre accesa. La pratica di demonizzazione quindi della figura femminile era ormai stata avviata ed aveva attecchito, la donna nella sua natura di custode dell’antico retaggio pagano doveva essere a tutti i costi demolita nella sua essenza più profonda. Ancora oggi la società permeata nel profondo da abramitismi porta ad emarginare e bollare donne come le streghe di Benevento, con particolari capacità, inclinazioni, doti o addirittura per un particolare tratto fisico come janare.
Ad ognuno di loro una sola risposta può fare eco: “Se anche lontanamente riscontraste in noi quell’elemento sacro da voi definito però indegnamente profano, allora con orgoglio e senza alcun indugio chiamateci pure Janare”.
Per approfondire:
- Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Tröld*R: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni.
- Laugrith Heid, Nawia. Stregoneria e Folk euroasiatico, Anaelsas edizioni
- Piperno, De effectibus magicis libri sex
- Domenico Mammoli, Processo alla Strega Matteuccia di Francesco
Luca M. Valentini
Seminarista presso l'Accademia Vanatrú Italia.
Ha svolto studi classici ed è appassionato di storia, mitologia e antropologia con particolare interesse per la sezione nordica, slava ed est europea.
Il primo incontro con la Stregoneria lo ha avuto in giovane età ma solo con la formazione e il culto Vanatrú ha imparato a relazionarsi correttamente e con disciplina alla materia e alla pratica.