Con questo articolo sullo sciamanesimo in Cina si vuole continuare la ricerca del ricordo, la ricerca di quell’arcaicità insita in quel “filo rosso” occulto che unisce la tradizione del Nord alla tradizione orientale dell’antica Cina, parlando dei 9 canti sciamanici di Chu. Per poter parlare di questo argomento come prima cosa è inevitabile menzionare, data la loro grande importanza, due termini, nonché quella che il numero 9 ha sempre avuto in tutta la storia cinese:
- Wū 巫 – questo termine unico veniva utilizzato per indicare sia “sciamane” che ”streghe”;
- Xi覡 – termine che indicava invece gli sciamani\stregoni uomini, e che è attestato per la prima volta nel “Guoyu”, o “Discorsi degli Stati”, un testo risalente alIV secolo a.C.
Dall’analisi di questi due termini la prima cosa che si nota è come pratiche e percorsi oggi descritti come esclusivamente “sciamanici” o “stregonici”, nell’antichità fossero invece inseriti in una visione unica.
Al tempo non vi era nessuna distinzione tra sciamanesimo e stregoneria.
Questo particolare è molto interessante perché avvalla – ancora una volta – le tesi che l’Accademia Vanatrú Italia porta avanti da molti anni a questa parte: nella Cina arcaica così come terre del Nord dove lo Sciamano operava – lì operava anche la Strega – e questo perché i due erano la medesima figura.
Purtroppo da diverso tempo in Italia un certo movimento “new age” neo-pagano tenta di far valere a forza una differenziazione, un distacco forzoso che nella realtà arcaica non era presente; e questo fatto si manifesta sempre di più ad ogni approfondimento accademico da noi svolto sugli antichi culti.
Significato del numero nove per lo sciamanesimo in Cina
Il numero 9 nella sacralità cinese viene considerato espressione numerica di due concetti esistenziali: movimento e realizzazione.
È il simbolo numerico del compimento ciclico di entrambe quelle forze cosmiche conosciute dai più come yin e yang; queste due forze infatti nella loro danza, “arrivate” a 9 mutano l’una nell’altra. Nelle grafie più antiche il numero nove viene rappresentato come una pianta nel suo ciclo di germogliazione oppure appassimento; questa particolarità nelle coscienze di quegli uomini e donne dei tempi antichi richiamava in maniera naturale i principi cardine di tutta l’esistenza: nascita e morte in perenne mutamento in un tempo circolare, giungenti ogni volta al loro massimo compimento nel moto di un “eterno ritorno” [al Dao].
Oltre ad essere simbolo di concetti quali quelli di morte e rinascita, il numero nove collegato all’intera realtà Cinese e alla sua cosmogonia così come, anche se in maniera differente, lo è anche per quella nordica.
Purtroppo non si può esplicare in un solo articolo tutti i collegamenti del numero nove in maniera adeguata alla loro colossale portata, quindi ci si limiterà ad elencarne alcuni:
Il 9 è collegato:
– alle 9 terre e alle 9 montagne;
– ai 9 palazzi;
– ai 9 fiumi;
– ai 9 pastori;
– ai 9 tripodi sacrificali;
– alla suddivisione delle realtà ctonie con i 9 inferni-terrene-ed uraniche con i 9 cieli.
È inoltre collegato con la figura del Drago, che in Cina è presente circa dal V millennio a.c. come rinvenuto dalle reliquie delle culture neolitche, e all’antica pratica sciamanica (wū 巫) dei “nove passi” di Yu.
Tracce molto interessanti di questi argomenti se ne ritrovano nel primo capitolo di apertura dello YiJing, il Libro dei Mutamenti, e negli studi su un famoso ritrovamento, il Drappo di Mawangdui.
Il contesto dei 9 canti sciamanici è quello che si potrebbe definire un racconto; una narrazione messa in forma di poesia dove il devoto innalza canti e invocazioni alla sua deità prediletta (il Fultrui nella tradizione nordica), agli spiriti e ad altre divinità ancora, esprimendo il proprio desiderio di servirli.
In essi sono narrati eventi e rapporti di sacrale intensità legati allo sciamanesimo in Cina.
All’interno di questi 9 canti sono nascosti sapientemente sotto forma di poesia i metodi e i tempi, la tipologia di offerte anche, con cui certi rituali andavano svolti.
Fin dalle prime forme di rito (di epoca Dinastica), è riscontrata un’impalcatura codificata e “standardizzata” della pratica sacra, cosa che prenderà ancora più vita successivamente con l’avvento del Taoismo cerimoniale e il decentramento del potere femminile, rurale e contadino, con quello maschile dove si prediligeva la filiazione agnatizia; modifica questa che cambiò radicalmente l’organizzazione dell’intero culto. Questo divenne infatti incentrato sulle famiglie nobiliari presenti in ogni agglomerato urbano, dove l’uomo riceveva per filiazione il titolo di capo del culto ancestrale, e capo dei culti agrari ad esso legati.
Questa particolarità si riscontra immediatamente nello studio delle pratiche di culto nell’epoca Shang, dove il sovrano, come suggerito da Keightley, costituiva il centro focale della società e, oltre a ricoprire la carica politica, era anche un capo religioso. La figura del sovrano giocava anche un ruolo primario nelle pratiche divinatorie assumendo la carica di officiante o sciamano.
Facendo un passo indietro.
Prima dell’avvento della mitica dinastia Shang il culto sciamanico era ancora liberamente praticato (venne successivamente disgregato con l’avvento delle tre grandi religioni: Taoismo, Confucianesimo e Buddismo), e sebbene vi fossero anche sciamani e stregoni di sesso maschile era prevalentemente incentrato sul femminino.
Le pratiche relative agli antenati e ai poteri naturali di tipo animistico erano secondo le fonti le più importanti; successivamente dopo queste sono nate pratiche legate ai guì 鬼 (i demoni) e quelle che furono le prime pratiche di guarigione da malattie per cause naturali 氣 (lo studio dei soffi).
È interessantissimo notare come queste ultime due pratiche dello sciamanesimo in Cina successivamente siano si scomparse, ma più appropriatamente si siano evolute cambiando forma con il passare del tempo grazie ad un abilissimo medico di nome Sun Si Miao. Grazie a questo erudito infatti queste pratiche “ricompariranno” poi codificate in una sequenza di MTC (medicina tradizionale cinese) nella “sequenza dei 13 punti Gui”; punti del corpo studiati dai praticanti di shiatsu e agopuntura, usati da lui in avanti come prassi medica per determinate patologie gravi.
Le indicazioni rituali riscontrate nei 9 canti di Chu per lo sciamanesimo in Cina, essendo la parte centrale del racconto sono davvero molte; di fatto le si trova già presenti fin dal primo verso del primo canto dove troviamo l’ora propizia per iniziare a ritualizzare, descritta come l’ora del 5° ramo (辰) dei 12 Rami Terrestri.
È naturale che le indicazioni rituali qui narrate non valessero per ogni cosa l’adepto volesse fare, e che fossero indicazioni specifiche da un lato – e generiche dall’altro – utilizzate solo per alcune pratiche specifiche.
Prendendo in considerazione un’altra parte di testo molto interessante arriviamo al quinto canto; questo crediamo meriti una speciale menzione storica in riferimento alla parola “Qiang” in esso presente. Questa parola è un collegamento storico importantissimo per l’indagine dello sciamanesimo in Cina, perché com’è descritto in diverse fonti (tra cui il testo dei 9 canti tradotto e curato da Cardellini Serse) “è in questa etnia di pastori che quest’intera opera troverebbe la sua radice più arcaica”.
Gli studi degli esperti sono ancora in atto attualmente a causa della loro complessità; tuttavia l’ipotesi che questa etnia sia l’anello di collegamento della tradizione che porta dagli antichi Shang ai Chu dove si riscontrano molte analogie nelle pratiche sciamaniche, è attentamente studiata e valutata per la sua possibilità oggettiva.
Successivamente al quinto canto, e come ultima analisi dell’articolo, è per me di altissimo interesse il settimo. In questo canto infatti si narra delle abilità musicali dell’etnia Qiang, dove “pittoresche musiche con i loro stravaganti misteri trasformano i cuori, scuotono l’essenza dello spirito e agitano sangue e soffi vitali, nutrono e divertono l’uomo”.
Queste musiche facevano, secondo gli intellettuali di Confucio, “deviare lo spirito ossessionando i sensi”, ma i più attenti non mancheranno di leggere tra le righe quello che era il potenziale effetto estatico che queste musiche probabilmente avevano sui membri (sciamani), di quella comunità. In questo canto sono narrate vere e proprie perle di saggezza musicale, che unite alle loro conoscenze astronomiche davano le chiavi rituali di determinate pratiche esoteriche.
Detto quanto sopra; ci sarebbe ancora moltissimo da dire sui 9 canti dello sciamanesimo in Cina, ma non potendo scrivere tutto ciò che meriterebbe in un unico articolo si è scelto di fermarsi qui, e di concludere con un ultimo paragrafo che si è reputato idoneo:
Ling Zhuguan fondò il tempio di Chiyou. A chang’an incaricò ministri e sciamane-donne al culto dei sacrifici.Gli sciamani di Liang sacrificavano al Cielo, alla Terra,all’Altare del Cielo e alle sue acque, alla Sala Centrale e alla Superiore; gli sciamani di Jin sacrificavano ai cinque Imperatori, al Signore d’Oriente, al Signore delle Nubi, al Nume dei Destini, all’Altare del Tempio degli Sciamani, al Clan degli Antenati-Immortali, alla Dea del Focolare; gli sciamani di Qin sacrificavano alle Divinità Ctonie, al protettore degli Sciamani e alle Divinità Zu e Lei; gli sciamani di Jin (Chu) sacrificavano alla Sala Inferiore, all’Antenato degli Sciamani, al Nume del Destino; gli Sciamani dei Nove Cieli sacrificavano ai Nove Cieli. Tutti quanti sacrificavano secondo le stagioni prescritte. Gli sciamani del Fiume Giallo sacrificavano ad Esso, mentre gli sciamani dei Monti meridionali sacrificavano alle Montagne del Sud e a Huangdi.
Per approfondimenti:
- Nove Canti, Canti sciamanici del Regno di Chu a cura di Serse Cardellini.
- Danze e Leggende dell’antica Cina, Marcel Granet.
- Pratiche di sepoltura:specchio della società e della cultura della dinastia tardo Shang, Chiara Mozzo.
- The Tripods in Daoist Alchemy, Zhen Fan.
- Metamorphosis and the Shang State,Elizabeth Childs-Johnson