Illustrazione a cura di Arjen Lantis.
La donna islandese nell’Età Vichinga esercitava un interessante potere all’interno del contesto familiare. Si occupava della gestione domestica su diversi piani: accudiva i figli, era abile nella tessitura, curava gli animali che venivano allevati come fonte di cibo. Inoltre, il potere della donna era incentrato anche nelle relazioni interpersonali. Per comprendere al meglio il suo ruolo e la sua influenza sulla società vichinga bisogna immergersi e ripercorrere il periodo storico.
L’Età Vichinga in Islanda
L’Età Vichinga inizia con la razzia del monastero di Lindisfarne, Northumbria, nel 793 d. C..
Nel IX secolo i germani settentrionali navigarono oltreoceano fino alla scoperta dell’Islanda e oltre. Certo, come forse già saprete, con il clima islandese non era facile convivere, la terra non era adatta al raccolto, tranne che sulla costa, ma nonostante questo, originariamente, vi abitavano monaci irlandesi che vennero definitivamente espulsi con l’arrivo dei vichinghi. Tra i primi coloni, come si legge nella Laxdæla Saga, c’era Unn, figlia di Ketill Flatnose. Con l’approvazione del padre, Unn fece ciò che era meglio per la famiglia: fuggì in Scozia per non sottomettersi ad Harald Finehair, primo re di Norvegia, godendo così di un’ottima reputazione tra il popolo. Tra il 999 e il 1000 d.C., le fonti storiografiche ci narrano l’avvento della conversione ufficiale al cristianesimo, ed è dopo questo evento che si iniziano ad avere delle reali fonti scritte sulla donna, le cui prime tracce si possono trovare nelle saghe, una forma letteraria medievale islandese.
Saga significa appunto “storia”: è un termine connesso al verbo norvegese segja, “dire”. Queste nascono per essere tramandate oralmente, solo successivamente verranno rese in forma scritta da monaci cristiani. Da queste fonti si delineano accurate descrizioni sulle qualità dei personaggi, permettendoci di delineare il profilo della donna vichinga grazie all’unione di più informazioni riguardanti la divisione dei ruoli.
Clover, nel suo articolo di disamina del contesto in esame, nota che in queste forme letterarie, la sete di vendetta e la forza sono caratteristiche accostate sia all’uomo e sia alla donna, e come queste siano dinamiche essenziali per acquisire l’eredità paterna.
In Hervarar saga ok Heiðreks, troviamo Hervör, una donna volitiva, determinata e con una forte presenza maschile, che grazie a queste sue peculiarità riesce a ottenere l’eredità del padre.
Íslendingabók, il libro degli islandesi, contiene la storia dell’Islanda, quindi uno degli scritti più importanti per la nazione nordica. L’autore è il sacerdote Ari Þorgilsson: egli si servì delle storie orali del popolo e di informatori che lui stesso ha descritto nel libro stesso. Sappiamo che in Islanda vi erano codices di legge, chiamati Grágás, oltre che molteplici centri di potere, ognuno con un capotribù scelto per mantenere il giusto grado di ordine. Col tempo venne istituito il þing, ovvero un’assemblea in cui i partecipanti risolvevano discordie, sceglievano le punizioni per i ladri e chi andava contro le leggi, oltre che discorrevano di affari commerciali. Una volta l’anno invece avveniva Alþing, ovvero un parlamento nazionale dove si riunivano i goði delle tribù. A conti fatti, possiamo certamente dire che, in questo ambito, i protagonisti erano solo gli uomini (di potere).
La divisione dei ruoli
L’uomo aveva il potere legislativo, poteva essere capo o guerriero e gestiva la fattoria. Dunque aveva ampie opportunità economiche rispetto alla donna, ma non per questo è da sottovalutare l’influenza del ruolo femminile. Il potere della donna era circoscritto all’interno del legame famigliare, poiché accudiva i figli, si occupava del cibo e della tessitura. Aveva una notevole influenza nella vita sociale dell’uomo.
Il legame madre-figlio era determinante: era il mezzo essenziale per esercitare il suo potere nella società e migliorare il suo status. Il figlio difendeva l’onore della madre sia fisicamente sia legalmente, soprattutto durante le assemblee, dato che la donna non era ammessa. Nelle saghe spesso vi sono racconti di madri che spronano i famigliari alle armi, alla difesa e alla vendetta per l’onore della famiglia, sminuendo astutamente la mascolinità dell’uomo. Si veda Gudrun madre di Svanhild, sposa di Ermaneric, che, una volta scoperto che sua figlia fu condannata a morte dallo sposo, guidò la sua prole alla vendetta.
La tessitura era invece un’arte molto cara alle donne, le quali tosavano le pecore, lavoravano la lana con le spazzole e la preparavano per la filatura. Cucivano vele e abiti, pelli e pellicce: era una fonte importante di ricchezza economica. Difatti, nelle tombe delle donne venivano spesso e volentieri messe spille, spirali di lana, spazzole, pesi per il telaio e vari strumenti per la tessitura, come le cesoie e coltelli in ferro, perché, oltre gli aspetti cultuali, la tomba descriveva il defunto quando era in vita, delineando lo status sociale che ricopriva.
Il matrimonio vichingo
Il matrimonio era inteso come un affare, una negoziazione basata sulla posizione sociale, le proprietà terriere e la reputazione, e veniva stipulato dal pretendente e dal padre della sposa. Infatti, nella Brennu–Njáls saga, Hrut decise di sposare Unn. Hoskuld, fratello e portavoce di Hrut andò dal padre di Unn e disse “voglio parlare di affari con te”, quindi era considerato sicuramente un momento molto importante.
Del resto, il matrimonio univa le due famiglie ma era anche strumento che garantiva un passaggio di proprietà (terreni e bestiame). Tuttavia, con l’avvento del cristianesimo e l’istituzione del vescovato a Niðaróss, furono introdotte restrizioni in relazione al matrimonio: il divieto di divorzio e punizioni per la donna che si dovesse sposare senza il consenso del padre o del fratello. Nella Ólaf saga Tryggvasonar, Ólaf, re della Norvegia, padre di Astrid, affermò che Erling Skalfssor era un uomo degno per sua figlia ma avrebbe lasciato l’ultima decisione a lei. Seppur non previsto dalla legge, la famiglia teneva conto dell’opinione della donna a riguardo – ecco un elemento fondamentale da non trascurare in ambito d’indagine.
Da fonti storiche e archeologiche, sappiamo che nell’Età Vichinga pre-cristiana l’approvazione della donna rivestiva una certa importanza per il padre. Questo lo si nota anche nella Laxdæla Saga, quando Hoskuld Dala-Kollsson si reca da Bjorn, padre di Jorunn, per chiederla in sposa, attendendo non il consenso di quest’ultimo, ma la decisione della figlia o futura possibile moglie. Inoltre, in questo periodo c’era la libertà di divorzio e si poteva stipulare un accordo pre-matrimoniale.
A tal proposito, sempre nella Laxdæla Saga troviamo l’accordo fra Gudrun e Þorvald. Gudrun nel matrimonio doveva avere il controllo delle attività economiche e, in caso del divorzio, ricevere la metà delle stesse. Quando decise di divorziare, organizzò un intrigo: fece in modo che Þorvald indossasse pubblicamente una maglia scollata, segno di femminilità. La condizione dell’effeminato era una motivazione valida (ricordiamoci che ci troviamo in una Scandinavia già cristianizzata – per leggere di più a riguardo clicca qui).
Al di là di tutto, è bene sottolineare che l’Islanda cristiana, a differenza del resto dell’Europa, ha comunque continuato a lottare per la libertà di divorzio. Questo veniva ufficializzato dichiarando “divorzio da te” in tre luoghi:
- In pubblico (status)
- Sulla soglia della casa (famiglia)
- Nel letto matrimoniale (sesso)
La donna ancora sposata riceveva le chiavi della casa, della fattoria, della dispensa del cibo e della cassa, e queste venivano tenute al collo a mo’ di collane.
Tramite la gestione famigliare, sappiamo che la donna vichinga ha utilizzato il suo potere e ha mantenuto viva l’influenza sociale dell’uomo in una società dominata pubblicamente da questi, muovendosi in maniera astuta in un periodo storico che in realtà possiamo ritrovare anche oggi.
Infatti, le donne spesso accompagnavano gli uomini in battaglia, attendendo il ritorno sulla nave: se il marito fosse tornato senza aver finito i nemici, la donna girava il coltello nella piaga della mascolinità fino a quando il marito non sarebbe tornato sul campo per terminare ciò che aveva iniziato.
Nell’articolo di studio di Borovsky, questi ci racconta come nella letteratura norrena antica e nella cultura islandese medioevale la figura della “donna forte” fosse ben delineata.
Per concludere (momentaneamente) questa disamina, riportiamo una citazione ripresa a livello accademico, in cui si afferma, riferendosi alla Kress, studiosa della letteratura islandese, quanto segue:
[…] la presenza della “donna forte” [è] prova di un’antica egemonia femminile – una tradizione orale – che è stata successivamente eclissata dal patriarcato vichingo emergente e infine sommersa dalla gerarchia cristiana.
Per approfondimenti:
Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Tröld*R: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni.
*Gli “share” senza citazione della fonte sono elemento di querela poiché si ledono gli elementi del copyright sanciti dalla legge italiana*
Emanuela Di Cecco
Seminarista dell'Accademia Vanatrú Italia.
Affascinata fin da subito dall'amore per la ricerca che volge all'innovazione e all'equilibrio con la pratica stregonica. Riscopre sé e le sue radici attraverso il recupero del paganesimo europeo affrontato nei corsi dell'A.V.I.